Dagli affreschi di Botticelli e Perugino fino all’apoteosi del Giudizio universale di Michelangelo. La Cappella Sistina è l’espressione più alta della pittura rinascimentale italiana. Una delle più sconvolgenti (e controverse) opere d’arte della storia. Ma anche quella in cui Michelangelo segna la fine del Rinascimento. Questo e altro meritano l’itinerario artistico di questo numero.
Michelangelo filogiudaico e il Giudizio universale come opera anticlericale? Lo sostengono il rabbino e professore di Talmud [uno dei testi sacri dell’Ebraismo], Benjamin Blech e l’esperto di religioni comparate Roy Doliner, autori de I segreti della Sistina (Rizzoli), spiegando che l’affresco appare stranamente popolato da personaggi e simboli riferiti all’ebraismo, quindi non certo in linea con l’ortodossia cattolica. Motivo? Michelangelo intendeva condannare la corruzione della Chiesa del suo tempo ed esprimere un’idea di fratellanza religiosa universale, per l’epoca molto moderna.
Quella dei due studiosi è l’ultima tra le tantissime letture del dipinto: un capolavoro ininterrotto che continua a suscitare nuove interpretazioni e alla violenza emotiva del quale non è possibile sfuggire. Tuttavia, per capire le circostanze della sua genesi, bisogna ricordare la particolare situazione storica, politica e religiosa in cui si inserisce. Erano anni in cui la cristianità veniva profondamente scossa dalla Riforma di Lutero: il Sacco di Roma, quel saccheggio sanguinoso avvenuto nel 1527, sotto il Pontificato di Clemente VII (esponente della famiglia fiorentina dei Medici), segna il punto più basso della crisi della sede pontificia.