Oltre 180 Comuni in Italia rischiano di collassare per i troppi debiti: Napoli, Messina, Reggio Calabria…e la lista è destinata ad allungarsi.
Anche i comuni, piccoli o grandi che siano, come le aziende, possono fallire. Ciò è ancora più vero in questo delicato momento in cui la crisi ha spazzato via gran parte delle liquidità dei Comuni italiani, sempre più spesso costretti a ricorrere a debiti con privati, fondazioni e banche. Poco importa Nord o Sud, questo processo attraversa diametralmente tutta la Penisola: da Alessandria a Velletri, passando per Latina fino a Casal di Principe e giù fino a Messina.
Ma facciamo un passo indietro: siamo nel 2009, la crisi è cominciata da poco e le città a rischio sono soltanto due, divenute poi dieci, trenta, e all’inizio di questo 2014 sono salite a 63. E se Napoli e Roma hanno potuto beneficiare di speciali prestiti a tasso agevolato da parte dello Stato, tutti gli altri Comuni sono invece al la canna del gas, trovandosi in difficoltà persino per pagare i propri impiegati e per assicurare il regolare svolgimento dei servizi pubblici (trasporti, raccolta dei rifiuti, manutenzione delle strade).
Come si suol dire: due pesi, e due misure.
Se Roma e Napoli sembrano dunque salve, ad Alessandria (93 mila abitanti) il sindaco Maria Rita Rossa (Pd) deve fare i conti con debiti per 200 milioni di euro su un bilancio di 90. Stessa cosa a Caserta, 77 mila abitanti, il sindaco Pio Del Gaudio ha trovato 200 milioni di debiti e un deficit annuale di 24. In più, mancando il denaro, manca anche la manutenzione delle strade e dei servizi idrici; per questo motivo, molti cittadini vittime di incidenti a causa di un fondo stradale dissestato, citano in giudizio i Comuni, che sono costretti quindi a pagare cifre anche molto elevate per ripagare i danni. Meno soldi, più richieste di prestiti: un circolo vizioso in cui sembra ormai difficile uscire se non attraverso l’intervento dello Stato centrale.
E’ quanto successo a Roma, i cui debiti con lo Stato sono stati « congelati » permettendo al sindaco Ignazio Marino di mettere a punto un piano di risanamento (ancora ben lontano dall’essere in vigore…), ma per tutti gli altri comuni è già iniziato un terribile conto alla rovescia, mettendo in cassa integrazione numerosi dipendenti pubblici, interrompendo il versamento di assegni e contributi per le famiglie bisognose, in alcuni casi addirittura eliminando la mensa e i trasporti scolastici gratuiti. Come in una qualsiasi società in fallimento, i Comuni vendono i propri beni e licenziano i dipendenti per tappare le falle. Ma un Comune non è una società: deve garantire dei servizi minimi ai propri cittadini, come lo smaltimento dei rifiuti, la sicurezza personale, strade percorribili.
Ecco quindi che in altre città, in sindaci si sono visti costretti ad innalzare drammaticamente le tasse su casa e rifiuti, oppure semplicemente facendo girare nelle strade più vigili per poter incassare più multe possibili (è il caso di Milano, che detiene il record italiano per numero di multe).
Tutto ciò non basta affatto a ridurre il costo, ormai divenuto intollerabile, delle burocrazie comunali che spesso diventano delle macchine mangia-soldi e che non generano alcun beneficio in termini di servizi.