Curioso, affabile e carismatico, il trombettista Paolo Fresu possiede un talento musicale unanimemente riconosciuto. È a suo agio dappertutto e pronto a partecipare a qualunque evento da protagonista o come invitato.Possiede una conoscenza ampia e profonda della letteratura musicale, che modella, giustamente, a seconda di ambiti e compagni di viaggio.
« Il jazz siamo noi. Ognuno con ciò che è, ciò che pensa e ciò che suona.
È la musica della libertà, perché non solo ci rende liberi,
ma fa bene dentro, così che si possa vivere meglio fuori. »
Paolo Fresu, Poesie jazz per cuori curiosi, 2018, Rizzoli
Ho incontrato Paolo Fresu in occasione del 15° Limoux Brass Festival. Si è esibito in un quartetto insieme ad altri tre artisti d’eccezione: Gregory Daltin alla fisarmonica, che i lettori di RADICI conoscono bene in quanto compositore delle musiche della commedia Les Ritals con Bruno Putzulu, sardo come Fresu; il pugliese Marco Bardoscia al contrabbasso, compagno di avventure musicali di Paolo Fresu; dulcis in fundo, Michel Godard, probabilmente l’unico solista al mondo di serpentone, strumento a forma di S della famiglia dei cornetti e che, grazie a lui, gode oggi di un vero e proprio repertorio.
Paolo Fresu oggi rappresenta senza dubbio uno dei jazzisti italiani più famosi al mondo. La musica per questo artista è una vera e propria bulimia di suoni, ma anche di opportunità di generosità, una delle sue doti migliori e che lo spinge verso un vero impegno civile. Non ci pensò due volte, quella volta nel 2018, a salire sulla nave Aquarius in sostegno delle vite dei migranti. Per lui, è semplicemente un dovere salvare delle vite umane. In un’altra occasione, non la mandò a dire ad alcuni suoi fan che lo avevano insultato sui social a causa del suo sostegno alla proposta di legge per lo ius soli, per proteggere quei giovani che nascono in Italia da genitori stranieri e che fino ai 18 anni sono in terra di nessuno. A quegli stessi, Fresu indirizzò l’invito a non acquistare più la sua musica. « Anzi, ci racconta, gli ho detto di rispedirmi i dischi che avevano in casa, che poi avrei fatto loro un bonifico. » Nessuno si fece vivo. Questa la dice lunga sui valori umani che, per Fresu, non sono negoziabili.
Parliamo pure dell’Italia e di una certa deriva xenofoba e razzista. « Mi vergogno e sto male per quel che sta succedendo. Noi italiani non siamo così… » Per Fresu, molti italiani sono diventati razzisti, xenofobi e intolleranti « per paura« . « C’è un abbrutimento legato alla paura di vivere. Le difficoltà ci sono, ma vanno affrontate senza riversare le responsabilità su chi ha la pelle più scura. Io credo nel valore positivo della musica proprio per la costruzione di rapporti tra i popoli. E l’appiattimento culturale in corso in Italia contribuisce alla solitudine e alla chiusura degli italiani. »
Cosa fare?
Questo è un momento in cui si deve combattere l’indifferenza.
Veniamo alle sue origini. Cosa vuol dire appartenere alla Sardegna anche quando, come nel suo caso, si passa molto tempo fuori dall’isola?
Significa essere te stesso e portarti dietro ciò che hai appreso e che ti è stato dato. Non sono né un romantico, né uno di quelli che quando va all’estero, se non ha la pasta, non sopravvive. Anzi, amo assaggiare la cucina degli altri, perché sennò che viaggio è? Sono un sardo che sa di avere avuto dall’isola qualcosa di unico che deve condividere con gli altri. La musica è il mio strumento di condivisione e di comunicazione. Il Continente è un luogo in cui arrivavo attraverso un viaggio vero, che era quello della nave che da Olbia mi portava a Civitavecchia o a Genova. Una volta sbarcato, era poco importante andare a Bari o a Bolzano: il viaggio era concluso.
C’è un incontro artistico che non ha realizzato, oppure spiacevolmente mancato nel corso della sua carriera?
Non saprei. La maggiore parte degli incontri della mia vita sono stati casuali e mi piace credere che possa continuare a essere così. Il rammarico è stato solo di non avere incontrato Miles Davis quando mi fu data l’opportunità di conoscerlo. Da timido, scappai come un ladro. Poi mi sono pentito. Tra gli artisti di oggi, senza dubbio, Ornella Vanoni è quella che mi affascina di più e con la quale lavoro con immensa gioia.
« Futura » è il nome che ha scelto per la 36° edizione del festival Time in Jazz che ha creato in Sardegna. Un titolo preso in prestito da una canzone di Lucio Dalla e che è l’occasione di un nuovo impegno civile in tempo di guerra.
Futura è un progetto d’amore sognato con la complicità di un muro innalzato da due superpotenze che, nonostante tutto, non cancellano quel bisogno di emozione, di pathos, nonché di condivisione che alimenta le nostre vite. Un bisogno che permea e attraversa le differenti generazioni alle quali vogliamo dedicare il tema di questa edizione di Time in Jazz. Lo facciamo utilizzando lo strumento che meglio conosciamo: la musica che, da sempre, è la portavoce dei bisogni giovanili, nonché la voce narrante delle loro speranze. Futura è questo, è visione e coraggio. Quello di affrontare un presente complesso che mai avremmo immaginato di dover vivere e che va condiviso nel crossover generazionale e con quell’apertura che è propria del jazz in quanto musica meticcia e attuale.
Le propongo un gioco per conoscere meglio il suo percorso e ciò che la anima. A 62 anni, vorrebbe condividere con noi un ricordo, anche non strettamente legato alla musica, per ogni decade lasciata alle sue spalle?
Da 0 a 10? Il tempo del sogno e dell’apprendimento. La chiesa, la natura della campagna, gli animali, i visi disegnati dalle forme delle rocce sarde di granito, la scoperta della musica con l’armonica a bocca, la chitarra e poi la tromba.
Dai 10 ai 20? La banda del mio paese, i complessi di musica leggera, la passione, l’amore.
Fino ai 30? Il quintetto, l’apprendimento, la partenza dalla Sardegna, l’autonomia, la prima casa, Bologna e poi Parigi.
Fino ai 40? La dimensione internazionale, la molteplicità dei progetti, le amicizie, l’apertura, i viaggi nel mondo e quelli speciali, in Africa.
Fino ai 50? La maturità, la famiglia, la paternità, la coscienza politica e sociale.
Adesso? Tutto quello che ho scritto in precedenza.
Ecco, in queste parole c’è tutto Paolo Fresu, l’orgoglio delle radici e la forza della musica.
Rocco Femia, éditeur et journaliste, a fait des études de droit en Italie puis s’est installé en France où il vit depuis 30 ans.
En 2002 a fondé le magazine RADICI qui continue de diriger.
Il a à son actif plusieurs publications et de nombreuses collaborations avec des journaux italiens et français.
Livres écrits : A cœur ouvert (1994 Nouvelle Cité éditions) Cette Italie qui m'en chante (collectif - 2005 EDITALIE ) Au cœur des racines et des hommes (collectif - 2007 EDITALIE). ITALIENS 150 ans d'émigration en France et ailleurs - 2011 EDITALIE). ITALIENS, quand les émigrés c'était nous (collectif 2013 - Mediabook livre+CD).
Il est aussi producteur de nombreux spectacles de musiques et de théâtre.