Avevo 9 anni. Erano le nove del mattino e il collegamento televisivo dal Messico diventò di colpo realtà.
Stipati, non so in quanti, in quella cucina della commari Adelina Capisciolto, ad Aprigliano in Calabria, contrada Ruga, per la precisione. Dalla strada ce n’era il doppio grazie alla finestra aperta.
50 anni fa. Sembra un’eternità ed invece è ancora ieri.
L’Italia, bisogna dirlo, aveva iniziato male quel mondiale, almeno le prime tre partite. Brutte partite, sì, ma ci qualificammo lo stesso ed era la cosa che più contava. E poi fu il mondiale del mio idolo calcistico: Gianni Rivera. Non so da cosa si riconoscono gli eroi, ma Rivera arrivò a Citta del Messico con febbre e dissenteria e tuttavia in Messico-Italia, quarto di finale, entrò in campo al 46’ e cambiò tutto, segnando un gol decisivo.
Poi quell’11 giugno. Il giorno di Italia-Germania, da alcuni ormai definita coma la « Partita del secolo ». Cominciammo come sempre: Mazzola in campo, Rivera in panchina, per la mia più grande disperazione. Eppure Rivera era Pallone d’Oro e sente di poter dare tutto, ma Valcareggi gli preferisce Mazzola al centro, quando avrebbero potuto giocare tutti e due insieme. Rimane ancora oggi un mistero. La Germania era una armata da mettere i brividi. E poi aveva iniziato e condotto quel mondiale con una forza allucinante. Nei quarti rimontò l’Inghilterra da 0-2 e vinse 3-2.
Per forza, quando hai in attacco giocatori come Gerd Muller che fece 8 gol in 4 partite. Grande calciatore. Partiva da lontano e poi te lo ritrovavi davanti pronto a segnare. Ma noi in porta, tra i pali, avevamo Albertosi. Mica l’ultimo arrivato. In quattro partite aveva preso un gol e la difesa, con Burgnich, Cera, Rosato (che si occuperà appunto di Muller) e Bertini e De Sisti, era un muro. Ed anche la corazzata ne prese atto, con grande paura.
Mi ricordo ero sulle ginocchia di mio cugino Luigi ed avevo accanto il padrone di casa, Maruzzu Capiscolto, quando il fischio di avvio venne dato. Non facemmo nemmeno in tempo a capire la piega che poteva prendere la partita che Boninsegna fa gol dopo pochi minuti. Fui vivo per miracolo. Non ricordo cosa successe, ma alcuni secondi dopo mi ritrovai per terra e in un angolo, un po’ più al sicuro.
L’Italia sfodera il suo miglior repertorio di sempre: il catenaccio. Tutti in difesa ed intanto il cuore di noi spettatori galoppa a ritmi vertiginosi. Albertosi sventa un gran tiro di Grabowski, poi un colpo di testa di Seeler che avrebbe potuto piegarci ed infine quel salvataggio di Rosato che salva sulla linea. Ma, attenzione, in quella Germania, non c’era solo Muller. In difesa dominava un gigante: Beckenbauer che giocava con il braccio destro fasciato. Si era fatto male ma i tedeschi non ci pensarono nemmeno all’idea di rinunciare al loro capitano. “Ma non è da questi particolari – per parafrasare De Gregori – che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia… ». E si, erano tempi di giocatori, come Rivera, Beckenbauer, Gigi Riva … dallo spirito agonistico sano e senza grandi grilli per la testa. Certo l’infortunio di Beckenbauer ci favorì. È indubbio. Finimmo il primo tempo nello stress e nella speranza, ma…
Ed ecco che al 46’ entra Rivera. Mi brillano gli occhi. Mi sento più ottimista. Vedranno adesso i tedeschi di che pasta siamo fatti gli italiani.
I minuti passano e si arriva al 90’ aspettando il fischio liberatore dell’arbitro messicano Arturo Yamasaki, un peruviano naturalizzato messicano. Non finisce mai.
Ed anche se a quei tempi il recupero non esisteva, quella notte l’arbitro ne aggiunse due. Giusto per permettere l’ultimo assalto tedesco al “Fort Italia”.
Un attacco che si materializza in un cross dalla sinistra verso il cento dell’area. Non si capisce cosa ci facesse il difensore Schnellinger da quelle parti. Forse la disperazione di agguantare il risultato. Fatto che sta che si allunga e con una zampata fa gol. Fu la seconda volta in cui rischiai di morire. Cazzo, questo Schnellinger non è mai uscito una volta dalla sua area, giocava in Italia nel Milan e su 222 partite aveva fatto 0 gol. Nella nazionale tedesca uno solo: quel maledetto nello stadio Azteca di Citta del Messico. Epico il racconto di Albertosi, che conoscendo il suo compagno di squadra nel Milan, gli chiese un po’ di tempo dopo cosa ci facesse in area al 92’. La risposta di Schnellinger fu sublime: “Volevo avvicinarmi allo spogliatoio: era dietro la tua porta e la partita stava finendo”. Ecco, era così il calcio di 50 anni fa. Semplicemente epico, umano: in una parola indimenticabile.
Ma bando al vittimismo, di cui noi Italiani siamo ogni tanto preda, è il momento di lottare e stringere i denti. E poi, diciamolo pure, se non ci fosse stato quel gol di Schnellinger, non saremmo qui a raccontarci la “Partita del secolo”. Lunga fu la notte o piuttosto la mattinata. Andammo ai supplementari, ma senza il terzino Rosato che fu sostituito da Poletti, che tocca il suo primo pallone su un angolo dei tedeschi. Non gli va bene al povero Poletti. Chiama l’uscita di Albertosi che invece è in ritardo, tentennano, Poletti dovrebbe buttarla in angolo invece arriva Muller e con tocco luciferino sistema la palla nella rete.
La mazzata è tremenda, la Germania passa in vantaggio. È finita pensammo tutti. Terzo tentativo del destino di far scoppiare i cuori. Ma siamo ancora vivi, vivi. L’Italia s’è desta.
È l’appuntamento con la Storia e allora ci pensa Tarcisio Burgnich, che sbuca dalle retrovie, un altro difensore, uno che non sa nulla del mestiere di attaccante e che non si capisce cosa ci faccia anche lui nell’aria avversaria, e segna il gol del 2-2.
Sobbalziamo dalla sedia e incominciano i pianti di gioia. Dai che ce li mangiamo questi tedeschi. Siamo noi i più forti. Ed ecco arrivare la meraviglia del 3-2 di Riva. Ci vorrebbe il telecronista Nando Martellini per dare un’idea del miracolo: stop della palla in corsa col sinistro, la porta avanti, se la sistema superando un avversario e la calcia con una precisione da raggio laser nell’angolino di Maier. Una dinamite. C’è poco da fare. Un gol da manuale, un gol di Gigi Riva. Punto.
I ruoli si invertono, nella brace e con il culo di fuori ci sono loro, i tedeschi. Chissà com’è l’inferno, ma sicuramente deve somigliare certamente a quel 104° minuto, almeno per i tedeschi. Intanto noi siamo in paradiso.
Ma si sa che quando le cose vanno bene il paradiso può attendere. E intanto inizia il secondo tempo supplementare e l’Italia tiene stretto il 3-2 che la qualifica. Non vi ho detto che alla Germania bastava un pareggio per qualificarsi. Ed eccoci al 110° minuto. Albertosi aveva appena sventato un colpo di testa di Seeler. È calcio d’angolo. Albertosi scorge Rivera sul palo opposto. In genere c’è sempre un difensore a guardia del secondo palo. Gli intima di andare via e lasciare il posto ad un difensore, gli urla, ma non c’è tempo, la palla spiove in area, Seeler salta altissimo, la indirizza verso Muller che la sfiora e la manda proprio dove c’è Rivera che si stacca dal palo, alza braccio e gamba e la fa passare in rete. È il 3-3, e io sono ammutolito nel vedere il mio idolo prendere a testate quel maledetto palo. Non c’è solo il cazziatone di Albertosi che gliene dice di tutti i colori, ma di tutta l’Italia. Perché proprio a lui questo tremendo destino. Al mio idolo. Ma perché si è andato a mettere a guardia del palo?
Non c’è tempo per le parole inutili. Siamo o no nella leggenda?
E leggendarie diventeranno le parole di Rivera ad Albertosi: “Ora per rimediare posso solo andare a fare gol” gli dirà staccandosi dal palo.
I grandi destini sanno di poter prendere appuntamento con il cielo e con il paradiso quando vogliono loro. E sarà così. Venti secondi dopo, Rivera segna il gol del 4-3 alla Germania. L’ultimo. Il gol dei gol. Un gol che abbiamo rivisto centinaia di volte. Ed ogni volta come se fosse la prima: Boninsegna supera Schulz sulla sinistra e mette in mezzo un pallone su cui è arrivato lui, il campione dei campioni: Gianni Rivera.E mentre Maier, assecondando i movimenti del corpo di Rivera, si tuffa a braccia allungate verso sinistra, Rivera modifica le coordinate e di piatto destro indirizza la palla alla destra del portiere. Mi ritrovo di nuovo a terra. Ci abbracciamo tutti. Siamo in un sogno e nei sogni non c’è più nessun pericolo di morire, soprattutto quando si può dire di aver visto « El partido del siglo”.
Rocco Femia, éditeur et journaliste, a fait des études de droit en Italie puis s’est installé en France où il vit depuis 30 ans.
En 2002 a fondé le magazine RADICI qui continue de diriger.
Il a à son actif plusieurs publications et de nombreuses collaborations avec des journaux italiens et français.
Livres écrits : A cœur ouvert (1994 Nouvelle Cité éditions) Cette Italie qui m'en chante (collectif - 2005 EDITALIE ) Au cœur des racines et des hommes (collectif - 2007 EDITALIE). ITALIENS 150 ans d'émigration en France et ailleurs - 2011 EDITALIE). ITALIENS, quand les émigrés c'était nous (collectif 2013 - Mediabook livre+CD).
Il est aussi producteur de nombreux spectacles de musiques et de théâtre.