Le divisioni e il campanilismo tipici del nostro Paese sono figli dell’età dei Comuni e si riflettono nella lingua. Lo diceva già Dante.
I piemontesi falsi e cortesi, i liguri taccagni, i toscani burberi, i romani cafoni, i campani opportunisti, i siciliani omertosi, i sardi testardi: che gli italiani siano un popolo litigioso e campanilista è un fatto. Ma l’origine di certi luoghi comuni, che la lingua rimarca, è antica: le premesse storiche vengono infatti dal Medioevo, dai tempi dei guelfi e dei ghibellini e dalle divisioni tra le città durante l’età dei Comuni. Una faziosità politica da cui neppure Dante fu immune. Come ci racconta Pietro Trifone, uno dei maggiori storici della lingua italiana.
Quanto e in che modo la nostra lingua è espressione del campanilismo e della faziosità degli italiani?
La faziosità nasce dalle ataviche divisioni del Bel Paese. La lingua è stata un formidabile fattore unificante, ma porta ancora in sé, inevitabilmente, i segni di quelle divisioni. Credo che se gli italiani avessero coltivato di più la loro lingua, l’Italia ne avrebbe tratto parecchi vantaggi, a cominciare da una maggiore coesione sociale. E se ci fosse stata più coesione, agli italiani non sarebbe venuto in mente che la locuzione “all’italiana” potesse avere quel valore spregiativo che ha assunto. Lo stesso diminutivo “italietta” sarebbe magari usato affettuosamente e non con intento di denigrazione.
Molti pregiudizi degli italiani sugli italiani ebbero origine nell’epoca dei Comuni. Nel suo libro Storia linguistica dell’Italia disunita (Il Mulino) definisce Dante il “padre della faziosità italiana”. Perché?
Dante fu fazioso politicamente e anche caratterialmente, come mostrano le bisbetiche rampogne di cui la sua Commedia é disseminata, a cominciare da quella famosa contro la “serva Italia” paragonata a un “bordello”. Ma bisogna riconoscere che le sue solenni ramanzine erano spesso giustificate. Linguisticamente invece, Dante non fu fazioso ma profetico. La Divina Commedia è una sintesi di ciò che l’italiano avrebbe potuto essere e che poi in effetti è stato: una lingua colta e insieme popolare, capace di rispondere con efficienza alle più diverse esigenze della comunicazione : per il poeta stesso, funziona “ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni”.
Il campanilismo si esprime attraverso stereotipi ed epiteti negativi. Come si sono depositati nella nostra lingua, dall’epoca medioevale ad oggi?
Nel mio libro ho compilato un “glossarietto dell’italiano disunito”, dal lumbard al terun, dal ciociaro burino al genovese spilorcio. Ma prima di arrivare a parlare di razzismo, bisogna capire bene l’intenzione di chi le usa: chi allude al “rischio di un attentato terroristico” è probabilmente un innocuo mattacchione, mentre chi dà del “frocio terrone” a qualcuno manifesta chiari sintomi di omofobia. Distinguere tra questi diversi casi non è sempre facile ma è certamente indispensabile.
Gli italiani di oggi sono più o meno faziosi di quelli di ieri?
È difficile stilare una classifica della faziosità nelle diverse epoche, anche per gli enormi cambiamenti intervenuti nei contesti sociali, nei modelli di comportamento e nelle forme di comunicazione. In linea generale direi che oggi il fenomeno ha assunto una fisionomia più sfumata, ma anche più subdola che accentua le divisioni nazionali, come non ha mancato di sottolineare il presidente Napolitano.
Gli italiani non ce la fanno a sentirsi uniti. La lingua italiana lo è?
Nell’esperienza linguistica si esprime un aspetto centrale della civiltà italiana: l’intreccio fra la pluralità di tradizioni e la ricerca di un’identità comune. È importante che gli italiani restino fedeli a questa feconda duplicità di orientamenti, difendendo la loro lingua dalla sciatteria delle frasi fatte e delle mode, dalla resa incondizionata alla cultura angloamericana imperante, dalla superficialità dei mass-media. In passato l’italiano ha dovuto difendersi dai dialetti, ma oggi la situazione è cambiata e le parlate locali possono convivere felicemente con la lingua nazionale: lo scrittore, il giornalista, il parlante consapevole non esitano a concedersi qualche infrazione della grammatica e del bon-ton linguistico, motivata da ragioni stilistiche.
Se Dante ha detto che l’Italia era un “bordello” invece che un “luogo di corruzione”, avrà avuto i suoi buoni motivi. Per fortuna è stato tanto tempo fa.