Noli fu una signora del Mediterraneo e oggi preserva le sue antiche tradizioni marinare. Cervo divenne ricca grazie ai pescatori di corallo e poi famosa per il Festival di musica da camera. Seborga, carte alla mano, si proclama indipendente e « gioca » a fare la monarchia indipendente.

Massimiliano Salvo/MERIDIANI

Una decina di lupi di mare, centinaia di musicisti che suonano al chiaro di luna in una piazza barocca e una principessa. Potrebbero essere gli ingredienti perfetti per una bella fiaba, invece è la realtà di tre borghi del Ponente ligure: la Noli dei pescatori che ogni notte sfidano le onde sui gozzi; Cervo a picco sul mare in cui da mezzo secolo risuonano le note di violini e pianoforti; Seborga con la sua popolazione indomita che rivendica l’indipendenza. Questi tre paesi portano il nome della Liguria in giro per il mondo, ma gli abitanti non si prendono troppo sul serio: il basso profilo ligure mescola modestia e diffidenza, perché qui essere schivi fa parte del gioco,

GLI ULTIMI LUPI DI MARE 

Cappello in testa e camicia a quadri, gli anziani sono assorti in una partita a bocce a ridosso del mare. Campo da gioco da urlo, brezza e sole che sembra di stare in vacanza. I gabbiani strillano in cielo e l’odore di acciughe impasta l’aria. Sul lungomare, con le onde che arrivano a pochi metri dalla strada, ogni mattina i pescatori vendono triglie, naselli, polpi, calamari, seppie, pagelli, saraghi, occhiate, bughe, sugarelli e cicerelli, che in Liguria chiamano cicciarelli e si possono pescare solo da novembre a marzo. «Si prende di tutto, ma sempre meno», spiega Simone Apicella, 36enne di Vado Ligure, presidente della locale Cooperativa di pescatori, fondata a inizio Novecento come società di mutuo soccorso: una decina di soci che portano avanti la pesca artigianale del golfo di Noli, un’attività in pericolo tutelata da un presidio di Slow Food. «Abbiamo le barche come una volta, molto piccole, perlopiù gozzi liguri di vetroresina o di legno», continua Simone. «Gli equipaggi sono formati da una o due persone, si fa una pesca sotto costa, a uno o due miglia: si calano le reti alla sera e si tirano su al mattino. Ma andare avanti è sempre più difficile».

La preoccupazione è forte, perché il mar Ligure – pure nelle acque profonde del golfo spazzato dal vento che scende dalle montagne – è sempre meno vivo e il mestiere del pescatore è sempre più raro: eppure qui il mare fa ancora parte della vita di tutti. Nonostante le dimensioni, questa cittadina a 20 chilometri da Savona è stata una piccola ma potente repubblica marinara, con un efficiente flotta autonoma e un importante porto per la costruzione delle navi e il trasporto di uomini e vettovaglie in Terrasanta. Partecipando alla prima crociata (1099), Noli ottenne numerosi privilegi dai sovrani cristiani di Antiochia e di Gerusalemme, ma soprattutto grandi ricchezze fino alla completa indipendenza nel 1192, ufficializzata quattro anni dopo da Enrico VI di Svevia.

Dieci anni più tardi decise di allearsi con la potentissima Repubblica di Genova, divenendone un protettorato, condizione che sarebbe durata per tutta la sua esistenza. Ancora oggi la Regata storica dei rioni nolesi celebra la nascita della Repubblica e il viscerale campanilismo che consente di gareggiare solo ai residenti del paese, ai loro figli e ai loro nipoti. I gozzi dei quattro rioni – il Burgu (giallo), la Ciassa (rossa), la Maina (blu) e il Purtellu (bianco) – scendono in acqua per aggiudicarsi il palio; gli equipaggi, composti da quattro vogatori e un timoniere, vengono benedetti prima della partenza in piazza Chiappella, dove si sorteggiano le corsie, e si sfidano su un percorso di 1.600 metri, diviso in frazioni di 400 metri (tre giri di boa).

Dentro le mura, le cose buone hanno invece il sapore dei dolcetti impastati nei vicoli del borgo. Al banco della pasticceria La Crepe, in via Cristoforo Colombo, c’è Mistral Coffano, 26 anni e nolese di nascita, che insieme ai genitori porta avanti un’attività aperta nel 1983 dalla mamma Claudia Ganduglia e dalla nonna Maria. Oggi, a 40 anni di distanza, raccontano il loro territorio nel modo che meglio conoscono: i gusti della tradizione. «A partire dai gobeletti, pasta frolla ripiena di marmellata di chinotto, oppure con i baci di Noli, che come quelli di Alassio hanno una base di cacao e nocciole cui noi aggiungiamo miele e marsala».

Basta far due passi fuori dal paese per ritrovarsi in salita nella macchia mediterranea. Il castello domina l’abitato dall’alto di monte Ursino, lungo i cui pendii si dipanano le mura merlate duecentesche che scendono sino al dirupo sul mare. Addirittura nel IV canto del Purgatorio dantesco, Noli è citata come luogo aspro e difficile da raggiungere, incastrato tra due pieghe della montagna per proteggersi dagli assalti dei saraceni. La cittadina è stata raggiungibile solo via mare o per ripidi sentieri fino a che, durante l’impero napoleonico, fu costruita la via costiera che oggi chiamiamo strada statale 1 « Via Aurelia ».

MUSICISTI AL CHIARO DI LUNA

A una decina di chilometri da Imperia, è sull’ Aurelia anche Cervo, borgo che duemila anni fa si sviluppò su un promontorio attorno a un insediamento romano per controllare la via lulia Augusta. In un’epoca segnata dalle invasioni barbariche e dalle scorrerie dei saraceni, quello sperone isolato mise al sicuro Cervo, poi destinato a secoli di domini, libertà e saccheggi sino all’annessione al regno sabaudo.

Dalla fine dell’Ottocento il paese iniziò a essere meta dei pionieri del turismo, che è oggi la più importante risorsa economica grazie a stabilimenti balneari e tratti di spiaggia libera con sabbia, ciottoli, insenature rocciose e calette raggiungibili solo in barca.

Le acque cristalline sono certo un richiamo, ma a rendere noto il nome di Cervo è il Festival internazionale di musica da camera, che quest’anno arriverà alla 61esima edizione ed è una delle iniziative culturali più prestigiose della Liguria.

Era il 1964 quando il violinista Franco Vallora ebbe un impedimento a partecipare a una serata benefica alla chiesa di San Giovanni Battista, detta la chiesa dei Corallini perché eretta fra Seicento e Settecento anche grazie ai denari e al lavoro dei pescatori di corallo; considerata uno dei maggiori monumenti barocchi del Ponente, è opera dei Marvaldi (Gio Batta e Giacomo Filippo), dinastia di architetti originaria di Candeasco, un piccolo paese dell’entroterra di Imperia. Il sostituto di Vallora, il violinista e direttore d’orchestra Sándor Végh (1912-97), fu folgorato dall’acustica e dall’estetica del sagrato di quella chiesa affacciata sul Mediterraneo ed ebbe l’illuminazione. Acquistata una casa sulla piazza, si mise a elaborare un progetto tanto ambizioso quanto visionario: una rassegna di musica da camera. Inizio cosi a invitare colleghi, amici e conoscenti, ossia il gotha della musica classica mondiale: Arturo Benedetti Michelangeli, Wilhelm Kempft, Salvatore Accardo, Uto Ughi, Martha Argerich… Il pianista Maurizio Pollini che vi suonò a 22 anni, quando ancora non era una celebrità. Ma mentre prima il festival era interamente dedicato alla musica da camera, oggi c’è un’offerta più trasversale, con jazz, teatro e musica.

Quest’anno il Festival è in programma dal 17 luglio al 31 agosto 2024 e intreccerà la musica dal vivo con il turismo lento e sostenibile. Le camminate porteranno il pubblico alle esibizioni programmate nel parco del Ciapà, dove gli amplificatori funzioneranno con l’energia elettrica generata dalla pedalata di una bicicletta per uno spettacolo a emissioni zero.

LA PRINCIPESSA DI SEBORGA

Nell’entroterra tra Sanremo e Bordighera, a 500 metri sul livello del mare, c’è un paesello di 300 abitanti che asserisce di essere un principato autonomo e si prende talmente sul serio da avere una principessa e rappresentanze all’estero, dall’Argentina all’India, ed emettere documenti, targhe e francobolli (il tutto senza valore legale, sia chiaro). «Che c’è di strano?», si stupisce la principessa Nina Menegatto, che sul rapporto tra il sedicente principato e il Comune di Seborga si abbandona all’ironia. «In teoria dovremmo far la guerra, invece siamo amici».

Per capire che cosa succede in questo paese di campagna che si sente membro della comunità internazionale, bisogna fare un salto indietro di oltre mille anni, nel 954, quando Seborga divenne uno Stato indipendente e quindi un principato (1079). La storia che raccontano i sostenitori dell’indipendenza ha date e passaggi precisi: nel 1729 Seborga fu venduta dai monaci a Vittorio Amedeo II di Savoia, ma l’atto di vendita non venne legalmente e ufficialmente mai registrato, almeno è quello che contestano nel sedicente principato. E la somma dovuta non fu mai pagata dai Savoia. Non è finita qui. L’atto di vendita prevedeva che Seborga diventasse patrimonio personale del re senza essere annessa al Regno di Sardegna. L’atto riguardava il possesso dei terreni, quindi, non la sovranità. La conseguenza, sostengono nel governo autoproclamato, è che nel 1815 nessun documento del Congresso di Vienna riporta Seborga come parte del Regno di Sardegna.

Il resto della storia è patrimonio comune: nel 1861 nacque il Regno d’Italia, nel 1946 la Repubblica italiana. E Seborga ha sempre fatto parte di entrambi. «Questa annessione è da considerarsi unilaterale e illegittima», ripetono però nel principato, che dopo decenni di ambizioni e goliardia nel 1995 è stato davvero istituito con tanto di « monarchia costituzionale elettiva ». Dopo aver sventato nel 2016 un tentativo di golpe da parte di un francese, oggi Seborga sembra aver trovato un po’ di pace. L’attuale principessa è Nina Dobler Menegatto, 43 an-ni, tedesca di origine, con casa nel Principato (vero) di Monaco.

Dal 2010 al 2019 Nina Menegatto è stata per due volte consigliera della Corona, occupandosi della gestione degli Affari esteri, e dopo l’abdicazione del principe Marcello I (il suo ex marito) nel 2019 è stata eletta principessa. È la prima donna a guidare il principato, di cui racconta le bizze con la naturalezza della regnante: «Abbiamo i nostri numeri civici, che si aggiungono a quelli del Comune. Emettiamo targhe automobilistiche, che si possono apporre almeno 25 centimetri sopra quella italiana, e pure un passaporto turistico». E pazienza se per la legge italiana nulla di tutto questo ha valore: dal punto di vista del marketing funziona eccome. Ma per la principessa non si tratta solamente di una promozione turistica ben riuscita. «Quando iniziai a frequentare Seborga la storia dell’indipendenza mi sembrava divertente e anche un po’ stramba», ammette. «Ma poi ho studiato i documenti e ho scoperto che è fondata. E così ho iniziato a impegnarmi per il principato. A Seborga viviamo in una favola e siamo felici cosi».

M.S.