Il Belice, l’Irpinia, il Friuli, L’Aquila… In Italia i sismi si sono sempre trasformati da catastrofi naturali in catastrofi politiche, arricchendo ogni volta speculatori, politici e sistemi di potere.
Prima e Seconda Repubblica hanno avuto i loro terremoti. Ora tocca alla Terza e al governo dei tecnici decidere come gestire il sisma dell’Emilia, e quindi quale segno lasciare. Perché i terremoti in Italia da catastrofi naturali si sono sempre trasformati in catastrofi politiche. Il sisma abbatte case, distrugge vite e territori, ma segna epoche. Nel bene e nel male. Le parole di Sandro Pertini pronunciate quattro giorni dopo il terremoto che schiacciò Irpinia e Basilicata, rimarranno scolpite sulle macerie di Lioni, Balvano, Laviano. “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”. Una sferzata per il governo (a Palazzo Chigi c’era Arnaldo Forlani) e soprattutto per i notabili del Sud. Come saranno scolpite nella lapide delle vergogne nazionali le parole degli imprenditori della cricca Gagliardi e Piscicelli, il giorno dopo il terremoto de L’Aquila. “Occupati di ‘sta roba del terremoto, qui bisogna partire in quarta subito. Non è che c’è un terremoto al giorno… Io stamattina alle 3 e mezzo ridevo”. Ridevano pensando a come i terremoti made in Italy hanno arricchito speculatori, mafiosi, politici e sistemi di potere. Sempre. Il poeta Danilo Dolci nel 1968 consumò una parte della sua vita a lottare contro l’abbandono del Belice. Al governo c’era Aldo Moro, al Quirinale Giuseppe Saragat, il 15 gennaio di quell’anno i paesi della Sicilia occidentale, Gibellina, Santa Ninfa, vennero rasi al suolo da scosse che durarono un mese intero: 370 morti, 70 mila senzatetto. Dolci mise su una radio clandestina per denunciare l’inerzia dello Stato e della Regione Sicilia. “Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale”, esordiva con la sua voce tuonante. “Siciliani, ascoltate, si sta compiendo un delitto di enorme gravità, si sta spegnendo una popolazione intera”. Manifestazioni, proteste, l’impegno di artisti e intellettuali portati in quelle lande per progettare il sogno della città-territorio, servirono a poco. Quel sisma è ancora oggi ricordato come il sacco del Belice. Una ruberia infinita, una pioggia di leggi, leggine e finanziamenti pubblici durata più di 40 anni.