È a Vicenza, in Veneto, che Marco Tullio Giordana ha ambientato il suo ultimo film, La vita accanto. L’autore di La meglio gioventù dirige una storia di famiglia, un vecchio progetto di Marco Bellocchio, scritto come prima sceneggiatura con Gloria Malatesta e basato sull’omonimo romanzo di Maria Pia Veladiano. In occasione dell’uscita del film, e invece di un’intervista più “classica”, il regista ha accettato di parlare di certi temi del film e delle scelte operate lungo le riprese.
ORESTE SACCHELLI
La scena si svolge nel 1980, in un sontuoso palazzo del XVIII° secolo dove vive la ricca e influente famiglia Macola: Maria, il marito Osvaldo e la sorella gemella Erminia, famosa pianista. Dopo anni di tentativi, Maria dà alla luce Rebecca, attesa con grande speranza. Ma la bambina nasce con una vistosa macchia viola che le copre metà del viso. Quest’angioma diventa un’ossessione per Maria, tale da farle rispingere l’idea stessa della maternità. Erminia, la sorella gemella, la sostituisce, ma Maria si scopre malata di gelosia al punto da renderla infelice, fino al suicidio. L’adolescenza di Rebecca sarebbe stata segnata dalla vergogna e dal senso di colpa se non avesse dimostrato fin da piccola uno straordinario talento musicale.
Nel corso della sua lunga e prestigiosa carriera, Giordana è stato spesso chiamato a dirigere film il cui soggetto, o addirittura la sceneggiatura, erano già stati scritti da altri. La vita accanto, rielaborato secondo la sua estetica, offre come mai prima al regista l’opportunità di mostrare gli elementi fondamentali che costituiscono anche la struttura del film: la raffinata eleganza delle scenografie, la precisione degli oggetti di scena e la minuziosità dei dettagli.
Il corollario di questa ricerca di raffinata eleganza è il sistematico rifiuto di rappresentare i momenti chiave di questa storia secondo i canoni della banale spettacolarizzazione. Giordana evita le scene convenzionali. Il parto non viene mostrato, ne viene filmata la prima reazione di Maria alla vista della figlia. Il suo stesso suicidio è solo il suono attutito della sua caduta nel fiume, sentito da Rebecca come in un sogno. Le molestie a cui Rebecca è sottoposta sono rappresentate in modo ancora più discreto. Non c’è nessun voyeurismo.
Fedele al suo approccio di un cinema classico, per Giordana sono innanzitutto gli attori che contano e che sono il film, quindi mette la macchina da presa al servizio della loro recitazione e delle loro proposte. Una scelta che si traduce in inquadrature più lunghe del solito e in un montaggio fluido per dare agli attori tutto il tempo di interagire. È come se la macchina da presa e il montaggio fossero destinati ad essere dimenticati. Alcuni splendidi momenti fanno tuttavia eccezione a questa regola. In questo Giordana dimostra un virtuosismo nella sua arte paragonabile a quello degli artisti che hanno costruito questo palazzo e contribuito allo splendore di questi luoghi.
Nel film La vita accanto, per la prima volta Giordana fa una dichiarazione esplicita sull’arte e sull’artista. È innanzitutto il talento di Rebecca che è messo in luce. È Erminia a scoprire questo innato senso musicale che le permette di trovare le note amiche, quelle che stanno bene insieme. L’armonia delle forme, dei colori e dei suoni e l’ambiente in cui vive fanno il resto. È in questo ambiente favorevole che sboccia il suo talento, grazie anche all’aver capito, fin da piccola, la necessità di sottomettersi ad un duro e indispensabile lavoro. Lavoro che le permette di raggiungere un livello superiore a quello degli altri studenti del conservatorio e con esso l’emergere di una certa invidia. Questo è il prezzo da pagare. Ma forse è anche l’arma di cui ha bisogno per continuare a progredire in un ambiente in cui il successo spesso porta a critiche, risentimento e persino ostilità.
O.S.
INIZIAMO DA VICENZA
Nonostante nel romanzo la vicenda fosse ambientata a Vicenza, ho fatto molti sopralluoghi in altre città venete bagnate da un fiume, perché l’acqua è un elemento molto importante nel libro e quindi nel film. Alla fine sono andato a Vicenza e ho trovato una città così meravigliosa, così bella, così importante in tutti i suoi palazzi, uno più bello dell’altro, che mi sono dato dello stupido. C’è una densità che non è riscontrabile in nessun’altra città, veramente. Però è sempre meglio arrivare per esclusione, non avere il rimpianto di nulla. E proprio a Vicenza abbiamo trovato una situazione molto favorevole perché quel bellissimo palazzo dove abbiamo girato, Palazzo Franceschini Folco, era completamente libero. Un sacco di ambienti, non solo quelli che vediamo nel film, ma anche utilizzabili come camerini, come magazzini, come deposito dei costumi, ecc.
ELEGANZA
Un occhio attento può scorgere le differenze nel tipo di arredamento dei due appartamenti, molto tradizionale – anche se con introduzione di mobili moderni – nella la casa di Osvaldo, molto più anticonvenzionale, perché finalizzato soprattutto alla musica, quello di Erminia al piano di sopra. Come se l’intero palazzo fosse stato ricondizionato da un architetto secondo la moda degli anni ‘80. Sono piccoli dettagli che apparentemente non sembrano importanti per capire il film. Però io penso che quando si ambienta una storia è bene essere molto accurati anche nelle cose che sembrano insignificanti, che però danno un’impressione di esattezza a tutto il contesto. Molto è merito dello scenografo Luca Gobbi e del suo arredatore Andrea Di Palma, anche perché trattandosi di un ambiente alto borghese, quindi di per sé elegante.
NATURALEZZA E ARMONIA
Anche in questo film, proprio come in La meglio gioventù o I cento passi, molte sequenze sono state improvvisate sul momento. Ho sofferto d’insonnia per tutta la lavorazione del film e la sera riscrivevo le scene. La mattina, quando arrivavano i poveri attori che avevano imparato la loro parte, dicevo “sì, però guarda, avrei scritto questa scena, proviamo”. E loro: “Ma come facciamo a impararla”. “Ma meglio, sarete più spontanei, più naturali.” Quindi, in realtà, l’armonia nel film nasce come nel jazz, da un’improvvisazione, come se fossero tante variazioni su temi diversi. Anche se la sceneggiatura, la primissima versione di Marco Bellocchio e Gloria Malatesta, era un’ottima base.
CAMPO E FUORICAMPO
Non mi piace insistere sulla violenza o su scene macabre. Il suicidio di Maria e l’aggressione di Rebecca avvengono fuoricampo. Chiunque può immaginarsi la cosa più mostruosa, che sarà sempre molto più efficace della soluzione che un regista propone sullo schermo. La tua immaginazione, che ingigantisce dentro di te paure quasi ancestrali, ti fa stare molto più male che se vedi la scena rappresentata. Fin da ragazzo trovavo molto più efficaci e inquietanti le elissi che il cinema riesce a utilizzare con tanta efficacia. È una caratteristica connaturata alla sua lingua fin dalle origini, fin dal cinema muto. Senza rappresentare una scena, passi a quella dopo che la rende implicita e il tuo cervello fa il collegamento. È uno dei suoi grandi vantaggi rispetto ad altri linguaggi.
ARTE: TALENTO E LAVORO
Chiunque abbia studiato musica, sa che non si può scappare dall’esercizio continuo, dallo studio quasi maniacale, dalla ripetizione, dalla fatica. Altre arti consentono maggiore libertà, ma i musicisti, qualunque strumento suonino, sono obbligati a studiare ossessivamente, come dei soldati. Una delle scene che mi piace tanto è quando Erminia sente la sua piccolina che sta cominciando a imparare a fare le scale e lei la sfida: “No, le dice, non è così, ripeti”, e poi “dritta”, e poi “a tempo”. Chiunque ha studiato pianoforte con una maestra penso che si commuoverà a vederla, perché è quello che succede sempre: “dritto” e “a tempo”.
QUINTO FILM SUCCESSIVO SU PERSONAGGI FEMMINILI
Lea, 2015 – Due soldati, 2015 – Nome di donna, 2015 – Yara, 201 – La vita accanto, 2024
Aggiungerei anche La meglio gioventù. I ruoli femminili erano altrettanto importanti di quelli maschili. Anzi, forse in quel film addirittura portavano la crisi e anche la soluzione della crisi. È vero che dopo, trovando delle storie molto interessanti dove le protagoniste erano delle donne ho seguito quella traccia, ma non per partito preso, semplicemente è capitato così. È una scelta, né per predisposizione, né per congenialità, di osservare forse con più empatia, quello che succede alle donne, liberate dal peso del desiderio.
O.S.