Lampedusa non è più un luogo reale. È oltre. Molto di più. Iper-reale. Al punto da essere divenuta un mito. Ai confini, alle porte del « nostro » mondo. Lo conoscono tutti, ormai. Di qui e di là del mare. Pardon, del muro. Che separa noi da loro. E che loro cercano di raggiungere, scavalcare. Per entrare nel « nostro » mondo.
Così la conoscono, di qua e di là. Di là. Perché è il punto di partenza. La prima stazione per cominciare il viaggio. Per cominciare a vivere dopo la fuga. Dalla fame, dalla povertà, dalla violenza. Lampedusa, per questo, non è un’isola. È un faro, una breccia, un rifugio. Ma di qua, dalla nostra parte, nel nostro mondo, è diverso. È un passaggio stretto, l’ultima frontiera e l’ultima barriera. Lampedusa, può diventare una prigione spietata, ha mostrato il filmato shock del Tg2 sul Cie lager. Ma è anche luogo di gente generosa. « Capitale mondiale di umanità », la definita Fabrizio Gatti, sull’Espresso. Abituata a « convivere », vivere-con gli altri.
D’altronde, ormai, è difficile distinguere l’identità di Lampedusa e dei suoi abitanti dagli immigrati, dal popolo in fuga, su barconi e imbarcazioni precarie, che, senza soluzione di continuità, si dirige verso l’isola. Lampedusa, luogo di disperazione e di speranza. Come ha testimoniatoPapa Francesco, con la sua visita. Il suo « viaggio » a Lampedusa.
Quanti uomini in fuga sono passati di là? Quanti sono fuggiti di là? E quanti sono morti, nel viaggio? Secondo la Fondazione Migrantes, dopo il 2010, circa 4.000 « persone » sono annegate, scomparse per sempre, in fondo alle acque del Mediterraneo, per arrivare in Italia e in Europa. Molte di loro, davanti a Lampedusa. Nell’ottobre del 2013: almeno 400. Molti altri, dopo averla raggiunta, hanno proseguito il viaggio, in Italia, alla ricerca di un lavoro, una casa. Di una speranza. In attesa di familiari, parenti, amici. Alla ricerca e in attesa di diventare davvero « persone ». E cittadini. E molti altri hanno continuato il viaggio, oltre le Alpi. A Nord. Verso altri Paesi. Francia, Austria, Germania. A Nord.
Perché gli immigrati generano inquietudine e, spesso, paura – quando e dove arrivano. In tanti e in tempi rapidi. Ma, proprio per questo, costituiscono un « segno di sviluppo ». Non a caso l’indagine sulla Sicurezza in Europa, curata da Demos, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis, quest’anno, ha rilevato come i maggiori timori verso l’immigrazione emergano in Germania e in Gran Bretagna. Cioè: i paesi dove l’economia va meglio. La Germania, in particolare. D’altronde, perché mai gli immigrati se ne dovrebbero andare da casa loro, affrontando i disagi, talora i drammi delle migrazioni, per recarsi in un Paese dove gli spazi per l’impiego e le tutele sociali sono deboli?
Per questo Lampedusa è l’inizio e la fine del « nostro » mondo. Le colonne d’Ercole del « nostro » tempo. E segnano i « nostri » limiti. Il « nostro » limite. Per questo occorre andare a Lampedusa. Partire da Lampedusa. Non più muro, presidio contro l’invasione. Ma caput mundi. Capitale e crocevia di un mondo che non si chiuda. Che non consideri la povertà una condanna irrimediabile e senza speranza. Come la giovinezza. Da tenere lontano. Per paura. Non solo di loro, ma anche di noi. Loro, poveri e giovani, di là. E noi (sempre meno) ricchi e (sempre più) vecchi, di qua. Sazi, prigionieri del nostro stanco egoismo. Destinati al declino. Lampedusa, non più isola e confine. Ma crocevia. Significa non rassegnarsi al declino.
Ilvo Diamanti
Fonte: Repubblica.it