È vero che il Ventennio fu un’epoca immune dalla corruzione, come molti pensano? Pare proprio di no.
Quanto fu corrotto il fascismo? Una persistente leggenda tende ancora oggi ad accreditare la classe politica del Ventennio (dal 1922 al 1943) come estranea al malcostume. E, a dimostrazione apparente dell’onestà dei gerarchi, si presentano le imponenti realizzazioni del regime, nel campo delle opere pubbliche, come la prova del fatto che ai polpastrelli dei ras (gerarchi e capi locali del fascismo, ndr) di Mussolini fosse rimasto attaccato poco o nulla. Ma le cose non andarono esattamente così.
Fin dall’origine del movimento fascista, Mussolini ideò sistemi per il finanziamento del suo quotidiano, Il Popolo d’Italia, il quale beneficiò, fin dalla nascita nel 1914, di fondi neri provenienti da Francia e Inghilterra.
Era solo l’inizio. Per tutti i vent’anni in cui Mussolini guidò l’Italia, i magnati dell’industria e i grandi banchieri fecero piovere denaro nelle casse del Partito Nazionale Fascista (PNF). Era denaro spesso di oscura provenienza, gestito dal fratello di Benito, Arnaldo, che diventò il collettore dei fondi neri. Ma era l’intera organizzazione dello Stato fascista, fondata sul monopolio di un solo partito, a poggiare su un diffuso sistema di arbitrio e di illegalità.