MICHELA MURGIA – IL PERCORSO MILITANTE DI UNA SCRITTRICE MICHELA MURGIA
Il 10 agosto scorso, si è spenta la scrittrice Michela Murgia a Roma. Conosciuta dai lettori francesi grazie alla traduzione di una parte delle sue opere, era stata nominata Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal Ministro della Cultura francese pochi mesi prima della sua morte. Focus sul percorso militante di questa instancabile paladina dei diritti civili.
LORENZO TOSA
C’è stato un momento, lungo quasi un lustro, in cui Michela Murgia è stata, per distacco, la donna più odiata d’Italia. Non aveva alle spalle un curriculum così sconveniente né, a scorrere a ritroso la sua carriera di scrittrice, si potevano scorgere tracce di libri particolarmente divisivi, al di là di un urticante pamphlet del 2018 dal titolo Istruzioni per diventare fascisti.
Allora cos’è che ha scatenato una tale ondata di odio sessista nei confronti di questa ex professoressa di religione sarda cresciuta nei call center? Un indizio va cercato non in quello che Murgia ha scritto ma nel modo in cui lo ha fatto e, soprattutto, nel luogo che ha scelto per esprimere le proprie idee da intellettuale e libera cittadina. Michela Murgia ha intuito, prima e meglio di altri, come la battaglia decisiva sui diritti e sull’idea di società che abbiamo in mente non si giocasse più sui libri o sui giornali ma sui social network. Ha fatto quello che per troppo tempo gli intellettuali progressisti avevano smesso di fare: ha messo i piedi e le mani nel fango, e ha provato a contrastare con la ragione e con il potere del linguaggio questo magma incandescente di rabbia sociale, fake news e violenza verbale abilmente spremuto da apprendisti stregoni del consenso. Il tutto senza mai abbassare di un grado il tono della comunicazione e il livello del dibattito.
Più o meno in contemporanea con la nascita del governo Lega-5 Stelle, mentre i pozzi della politica erano avvelenati da omofobia e caccia al migrante, Murgia incominciò a introdurre nel dibattito pubblico un tema rimasto in Italia finora molto confidenziale: l’intersezionalità, una teoria sociologica coniata da una giurista afroamericana di nome Kimberlé Crenshaw con cui si intende l’effetto cumulativo di differenti identità sociali e le relative discriminazioni che esse comportano, e che, anni dopo, sarà alla base di fenomeni come il Me too e il Black Lives Matter. [Vincenza Perilli, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, è stata una delle prime in Italia a prendere in considerazione il tema e a inserirlo nel suo campo di ricerca all’inizio degli anni 2000, ndr].
La stessa Murgia, nel 2020, lo ha riassunto con queste parole: “Se tu sei una donna nera e io una donna bianca, in una società patriarcale saremmo discriminate sul piano del genere, ma io sarei privilegiata in quanto bianca. E, se io fossi ricca e tu povera, ne avresti tre di discriminazioni da gestire”.
La tesi di Crenshaw, ripresa da Murgia, si fonda sulla sovrapposizione (o l’intersezione, appunto) di differenti assi di identità sociali oggetto di discriminazioni (dal genere all’etnia, dalla classe sociale all’orientamento sessuale etc.…). Riletto in questa chiave, il pensiero di Murgia non è che la declinazione di ognuna di queste discriminazioni e, al contempo la consapevolezza di come la cooperazione tra minoranze sia l’unica chiave per resistere all’oppressione, spesso riconducibile a un preciso identikit: maschio, bianco, etero, sano e benestante. E allora capisci come mai è impossibile combattere il razzismo senza cogliere la correlazione strettissima che esiste tra la discriminazione etnica e quella di classe. Perché, come ci ha insegnato Murgia, spesso dietro l’apparente paura del nero e dell’altro in realtà si cela una ben più meschina intolleranza nei confronti del povero, che solo per ragioni geografiche e politiche, spesso, ha anche la pelle scura. Allo stesso modo, non si può comprendere a fondo la violenta ondata omofobica registrata nei confronti della comunità Lgbtqi+ senza interrogarsi sulle radici di una società patriarcale che ci impone, sin da bambini, di inseguire un modello maschile e machista performativo e tossico.
Al paradigma crenshawiano la scrittrice sarda ha aggiunto un ulteriore asse, l’antifascismo, che, in qualche modo, contiene e abbraccia ogni forma di discriminazione e la rende strutturale. Per Murgia “antifascismo non è un’ideologia ma un metodo che può applicarsi a qualunque ideologia, nessuna esclusa, e cambiarne dall’interno la natura”. Diventa, dunque, chiaro come «il fascismo» spiega ancora Murgia “non sia affatto il contrario del comunismo, come sentiamo ripetere in continuazione, ma della democrazia”.
Nel vocabolario dei diritti tracciato da Michela Murgia trova anche spazio una parola che, per molto tempo, la stessa sinistra ha bandito, in favore del dogma della laicità. Quella parola è spiritualità, che nel caso della scrittrice è inscindibile da un’autentica fede cristiana mai rinnegata, semmai plasmata e ridefinita secondo nuove sfumature di senso e di significato. “Il mio rapporto con Dio non è conflittuale” ammise una volta. “E questo è merito di alcune teologhe che mi hanno mostrato, scritture alla mano, un volto di Dio che non discrimina le donne”. Il Cristianesimo, nelle riletture murgiane, non si limita al rito o al brandire un rosario in favore di telecamera ma nel tendere la mano al prossimo, agli ultimi, agli emarginati, soprattutto quelli che arrivano per mare a bordo di un gommone sgonfio e senz’altro Dio che non sia un pezzo di terra all’orizzonte. È il Vangelo secondo Francesco, leggasi alla voce Papa. Non è un caso che uno degli ultimissimi incontri della sua vita lo ha avuto in Vaticano con Papa Bergoglio. Era il 24 giugno di quest’anno. Michela, allora, era già malata. Un tumore al quarto stadio che aveva appena annunciato pubblicamente in una commovente intervista al Corriere della Sera.
Quello che è accaduto nei tre mesi successivi è un manuale di sopravvivenza in articulo mortis, una testimonianza in vita di come si truffa la morte, prorogandola a un tempo non materiale slegato da ogni prerogativa terrena. Michela Murgia sapeva di avere poco tempo a disposizione per lasciare su questa terra un solco duraturo. E allora, invece di sfidare il cancro, lo ha usato come leva per ridefinire il suo – e il nostro rapporto – con la malattia e con la morte. Ha pronunciato frasi come questa: “Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere”. Ha comprato una casa da dieci letti dove la sua famiglia Queer poteva vivere insieme. Poi ha anche spiegato cos’è una famiglia Queer, la famiglia d’elezione, slegata da ogni vincolo di sangue o biologico. Si è pure sposata con un uomo (“ma poteva essere anche una donna”) che non amava e con un rito che detestava perché – ha detto – “è l’unico modo che questo Paese ti concede per vederti riconoscere dei diritti”. Ha scritto Tre ciotole, un libro-testamento che parla di eventi radicali capaci di spezzare la vita in due tempi: un prima e un dopo. Ha rimesso testardamente il corpo al centro delle sue battaglie, quando ormai sembrava averla abbandonata. In fondo, è questo, più di ogni parola scritta o impugnata, ad averla resa invisa, odiata, detestata visceralmente: l’ostinazione con cui Michela Murgia ha assunto fisicamente e in modo radicale ogni sua battaglia fino a trasformare, a sua volta, il proprio corpo in un campo di battaglia.
Ci vorrà del tempo, forse venti, trent’anni, per capire a pieno quello che Michela Murgia ha cercato di dirci, per comprendere a fondo il testamento vivente di disobbedienza civile che ci ha lasciato e metterlo in pratica, senza aspettare che altri lo facciano per noi. Non è mai troppo tardi, anche questo ci ha detto, prima di andarsene, un giorno di agosto di pochi mesi fa. La sua più grande lezione.
L.T.
LE PAROLE DI MICHELE MURGIA
IL DISSENSO
“Con dissenso intendo la capacità di contestare chi governa in generale,
la disobbedienza civile è una conseguenza e la fa chi si trova a fare delle scelte”.
LA FAMIGLIA
“Di mamma non ce n’è una sola e i figli non sono solo quello che i genitori di sangue vedono”.
ANTIFASCISMO
“Dire che il fascismo è un’opinione politica è come dire che la mafia è un’opinione politica; invece, proprio come la mafia, il fascismo non è di destra né di sinistra: il suo obiettivo è la sostituzione stessa dello stato democratico ed è la ragione per cui ogni stato democratico dovrebbe combatterli entrambi, mafia e fascismo, senza alcun cedimento”.
MELONI
“Meloni? Beneficia oggi dei risultati del femminismo. Ma il femminismo l’avrà sempre come nemica perché non mette in discussione il modello tradizionale, anzi lo incarna al meglio”.
BODY SHAMING
“Si chiama body shaming, denigrazione del corpo, ma in realtà serve ad annichilire lo spirito. Sulle donne ha un impatto violentissimo, perché nella nostra società il corpo femminile è demanio pubblico. Continuamente sottoposto a giudizio, è usato come rappresentazione e incarnazione di valore (o disvalore) collettivo ed è il bersaglio primo di ogni attacco alle donne dissenzienti”.
TOURISME INVIVABLE
Peut-on repenser l’avenir des villes d’art ? Florence a déclaré la guerre aux Airbnb de son centre historique, classé au patrimoine de l’Unesco, une guerre déjà en cours à Venise depuis le mois de juillet 2022. À Venise et dans les Cinque Terre, l’on réfléchit également à la mise en place d’un numerus clausus de touristes, afin de rendre ces lieux magnifiques plus vivables, pour les touristes eux-mêmes et pour les personnes qui y vivent. Il est désormais clair que tourisme ne veut plus seulement dire richesse. Mais comment concilier la lutte contre le surtourisme et la nécessité de tirer des bénéfices du flux touristique ?
ASIA BUCONI
Le monde aime l’Italie. Il ne s’agit pas d’un élan de prétention injustifié, mais d’une évidence dont nous parlent les chiffres.
Pour s’en tenir à ceux de l’Osservatorio territoriale dei flussi turistici nazionali, au cours de l’été 2023 le Belpaese s’est classé au 4e rang des destinations les plus populaires auprès des visiteurs européens. Ce n’est pas un hasard si souvent – au cours des périodes de grande difficulté économique – les politiques italiens évoquent l’intervention salvatrice du tourisme, prêt à regonfler les comptes tel un deux ex machina digne du théâtre d’Euripide. Dans la Péninsule, ce secteur représente d’ailleurs environ 13% du PIB. Le mérite revient aux merveilles ravissantes de notre pays : entre villes d’art, mer cristalline, sommets à couper le souffle et paysages uniques, il y en a véritablement pour tous les goûts. Cependant, la lune de miel entre l’Italie et le tourisme semble avoir atteint un point de bascule. Ou, pour le dire plus clairement, de crise.
Quelque chose est en train de changer. Si les foules de visiteurs étaient auparavant accueillies comme un remède nécessaire à l’économie, l’on a aujourd’hui la sensation de se trouver face à des hordes interminables de zombies prêtes à prendre d’assaut les merveilles de notre pays et à renflouer les poches de certains spéculateurs immobiliers.
Cet afflux incontrôlé de touristes a un nom : celui de overtourism, le surtourisme. Et les Italiens feraient bien de noter ce terme parce qu’il est en train de se transformer en un problème très sérieux. Parmi ses causes principales, on trouve – outre l’absence de politiques en faveur d’un tourisme plus responsable – l’expansion incontrôlée de plateformes digitales de home sharing comme Airbnb.
La prolifération de ces plateformes de location courte durée joue en effet un rôle décisif dans la gentrification et la « touristification » des villes. Si bien que l’Italie a été contrainte d’intervenir – quoique de façon bien plus timide que d’autres pays – avec un projet de loi qui impose une présence minimum de deux nuits pour les séjours de courte durée (exception faite pour les familles qui ont au moins trois enfants). Ceci signifie que pour les séjours d’une seule nuit les touristes devront se tourner principalement vers les hôtels. Et les sanctions pour ceux qui possèdent un appartement et ignorent les nouvelles règles peuvent s’élever à 5 000 euros. Rien ne semble encore bouger en revanche sur le front des vols low cost, qui permettent à toujours plus de personnes d’atteindre des lieux très éloignés à des prix compétitifs, contribuant à cette surpopulation qui menace aujourd’hui de nombreux joyaux de notre pays.
Quand le tourisme menace l’identité
Le problème du surtourisme est particulièrement évident dans les villes d’art comme Venise ou Florence. La Sérénissime risque littéralement de couler sous le poids des foules qui veulent chaque année – on peut les comprendre – la visiter. La moyenne journalière annuelle de touristes est de 30 000 personnes, avec des pics à 200 000 en haute saison, alors que sa capacité de charge a été évaluée à environ 25 000 touristes par jour. Des chiffres impressionnants, imputables à ce qui est désormais qualifié de « tourisme de selfie », soit un tourisme essentiellement de consommation, non durable et de piètre qualité. En somme, une autre conséquence effrayante du capitalisme, et une véritable menace pour la singularité de Venise qui risque de se faire écraser sous le poids du surtourisme. Il suffit de penser qu’un compteur électronique a été installé pour enregistrer le nombre d’habitants de son centre historique et en mesurer le dépeuplement. Et si en 2008 il y avait 60 000 Vénitiens pour 12 000 touristes, en avril 2023 ces chiffres ont dramatiquement changé : aujourd’hui, il y a 48 596 lits pour les touristes contre 49 365 Vénitiens. Sans oublier que plus de 60 % de la ville historique est occupée par des lits destinés aux touristes.
Il faut faire quelque chose pour Venise avant qu’il ne soit trop tard. La Lagune est sérieusement menacée par l’amarrage des gigantesques navires de croisière : durant les week-ends, six à dix embarcations dominent cette fragile bande de terre.
D’où la décision de la mairie d’introduire un ticket payant d’un montant de 5 euros pour pouvoir accéder à la Lagune. L’expérience, qui débutera au printemps 2024 pour une durée d’environ 30 jours, a comme objectif déclaré justement celui de décourager le surpeuplement touristique journalier lors de certaines périodes de l’année particulièrement à risque. On discute également de la possibilité d’instaurer une limite aux réservations journalières, même si pour l’instant il n’y a encore rien d’officiel en ce sens. Il s’agit là d’initiatives extrêmement nécessaires, qui risquent cependant d’être réduites à néant par certains choix discutables effectués en parallèle, qui vont dans le sens opposé. Un parmi tant d’autres, celui d’agrandir l’aéroport de Venise afin de permettre à toujours plus de visiteurs d’y arriver, dans une course aveugle et avide au gain coûte que coûte.
Un choix très similaire à celui de la ville de Florence, où l’on parle aussi d’agrandir l’aéroport Peretola pour faire arriver 4 millions de personnes en plus des 14 millions qui visitent chaque année la ville. Même si peut-être, au vu des chiffres, il serait plus juste de parler d’ « invasion ». Florence est en effet une ville d’à peine 350 000 habitants qui risque de céder sous le poids du surtourisme. Une première sonnette d’alarme a été déclenchée par l’envolée du coût des loyers provoquée par l’expansion des plateformes de home sharing. Le maire de la ville, Dario Nardella, avait souligné l’été dernier, en s’appuyant sur une étude de l’Uil, que dans le centre historique de la ville, classé au patrimoine de l’Unesco, 72 % d’un salaire moyen était englouti par le loyer. D’où sa décision d’interdire l’utilisation de bien immobiliers à usage résidentiel pour les locations de courte durée, de façon à freiner les spéculations et éviter que le coût de la vie ne devienne insoutenable pour les résidents.
PAS SEULEMENT LES VILLES D’ART : LE SURTOURISME ÉCRASE AUSSI LES CINQUE TERRE ET LA CÔTE AMALFITAINE
Or le problème du surtourisme ne concerne pas uniquement les villes d’art. D’autres lieux très prisés à la conformation particulière du paysage comme les Cinque Terre ou la Côte Amalfitaine craignent plus que d’autres les flux excessifs et ingérables de visiteurs.
Sur le séduisant territoire ligure, qui a vu affluer 3 millions de touristes italiens et internationaux en 2022, dans des villages qui, selon les données de l’Istat, comptent au total 3 500 habitants, le problème resurgit périodiquement et l’on cherche depuis des années des solutions pour l’endiguer. Certains ont proposé d’instaurer un numerus clausus pour les entrées de façon à éviter que les villages ne soient littéralement submergés et ne s’effondrent. Mais à ce jour, la discussion reste ouverte.
La Côte Amalfitaine, appelée Divina Costiera, vit une situation très semblable : ici, le surpeuplement touristique fait chaque été disjoncter ces charmants villages à pic sur la mer, créant un véritable défi de cohabitation entre visiteurs, environnement et communauté locale. Pour l’été 2023, les chiffres parlent d’environ 8 000 passages de véhicules journaliers en moyenne au mois d’août, avec les énormes problèmes de mobilité et de viabilité qui en résultent.
Pour faire face à la demande très élevée, certains ont fermé leurs magasins afin de les transformer en petits logements pour touristes, passant ainsi un coup d’éponge définitif sur l’identité magique de ces lieux. Là où se trouvaient avant boutiques d’artisans, boulangers et cordonniers, l’on trouve aisément aujourd’hui d’improbables et inconfortables bed & breakfast.
Tout ceci laisse penser qu’il est peut-être nécessaire d’opérer, avant même d’adopter des mesures destinées à freiner les flux de visiteurs, une véritable « révolution touristique » qui remette au centre, au-delà de toute ostentation, le plaisir pur, précieux et presque perdu de la découverte. L’Italie, pour sa part, ne semble pas pleinement consciente de la gravité du phénomène, si bien que l’on se demande si le gouvernement a bien mesuré les conséquences de l’augmentation de ce tourisme de consommation. Le doute, qui apparaît chaque fois que l’on parle de développement durable, est que renoncer au tourisme et à ses bénéfices conséquents et immédiats est un pas que personne n’est encore prêt à franchir. Jusqu’à ce que, probablement, il ne soit trop tard.
A. B.