“Il più italiano dei santi, il più santo degli italiani”. Il 18 giugno 1939 papa Pio XII spiega grosso modo così la decisione di proclamare Francesco (con Caterina da Siena) patrono d’Italia. Sono parole che vanno al di là del loro significato immediato. Pensiamo al contesto: siamo in piena epoca fascista. Sono passati solo 10 anni dalla firma dei Patti lateranensi, che hanno chiuso una contesa politica fra Chiesa e Stato iniziata nel lontano 1871, con l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Francesco diventa espressione dello spirito unitario rinascimentale. Con i suoi viaggi unisce il Paese nell’annuncio di una fede genuina, ispirata dal Vangelo di Gesù. Non solo. Scrive il Cantico dei Cantici in volgare e la sua preghiera è uno dei primi esempi di lingua italiana. Certo, l’Italia è ancora divisa, ma questo è anche il primo indizio che i suoi abitanti – non importa se toscani, umbri o siciliani – sono accomunati da una lingua che ha molte caratteristiche simili. Insomma, possiamo dire che scegliere Francesco come patrono d’Italia è, in un certo senso, un atto politico, un modo per confermare una volta per tutte che la conciliazione tra la Chiesa e lo stato italiano non può più essere messa in discussione.