Le strade di Giacomo Matteotti e Benito Mussolini si incrociarono nel 1914. Dieci anni dopo, il primo era morto il secondo nel pieno del suo delirio di onnipotenza. A un secolo dall’assassinio è necessario ricordarsi di colui che è stato un padre della democrazia oltre che un simbolo dell’antifascismo.
RICCARDO MICHELUCCI / FS
Intanto c’è da dire che quello di Giacomo Matteotti non fu certo il primo delitto illustre commesso dal fascismo. Il leader socialista non fu neanche l’unico parlamentare ucciso dagli uomini fedeli al duce. Tre anni prima di lui, nel 1921, era stato ammazzato un altro deputato socialista, il pugliese Giuseppe di Vagno. Poi, solo per citare le vittime più note, la stessa sorte era toccata al sindacalista Spartaco Lavagnini e al prete don Giovanni Minzoni. Ma il caso di Matteotti fu diverso: quell’omicidio compiuto in pieno giorno sul lungotevere di Roma, il 10 giugno 1924, cambiò per sempre l’Italia contemporanea e trasformò definitivamente il regime di Mussolini in una dittatura che poggiava le proprie basi sul sangue di un martire antifascista. E fece di Matteotti – che fino ad allora era stato un leader poco conosciuto dalle masse popolari – un padre della democrazia oltre che un simbolo dell’antifascismo.
Perché questo tragico evento fu così importante per la storia italiana?
Intanto Matteotti fu uno dei pochi che non sottovalutarono mai il fascismo e cercarono di mettere in guardia l’opinione pubblica. E poi non credette mai che il fascismo potesse essere espressione di rinnovamento. Al contrario, lo considerò fin da subito il garante degli interessi capitalistici al servizio di affari opachi.
C’è da dire anche che il suo omicidio fu uno spartiacque nella storia del fascismo, che non aveva ancora preso le sembianze di una vera e propria dittatura. In questo senso per il regime il delitto di Matteotti rappresentò il battesimo del sangue. Con il famoso discorso del 3 gennaio 1925, Mussolini si assunse la responsabilità « politica, morale e storica » dell’omicidio Matteotti ma al tempo stesso lo descrisse come la conseguenza del clima politico violento dell’Italia di quegli anni. Da quel momento avviò la vera costruzione dell’impianto totalitario, assegnando più potere ai prefetti, rafforzando la censura, facendo chiudere molti giornali e nominando uno squadrista come Roberto Farinacci alla guida del Partito fascista. In quei mesi furono gettate le basi delle « leggi fascistissime » che nel 1926 aprirono definitivamente la strada alla dittatura.
Da quel giorno Mussolini non avrebbe più abbandonato il potere, imponendo agli italiani un regime autoritario che si sarebbe esaurito solo vent’anni più tardi, lasciando dietro di lui rovina e sangue. Eppure, quando si parla del periodo fascista, spesso si fa coincidere l’inizio della vera dittatura con il delitto Matteotti, appunto, del 10 giugno 1924.
CHI ERA GIACOMO MATTEOTTI?
Giacomo Matteotti era nato a Fratta Polesine nella provincia di Rovigo in Veneto il 22 maggio 1885. Era un membro della Camera dei Deputati, nonché segretario del Partito Socialista Unitario (PSU), nato dalla costola dell’originario Partito Socialista Italiano (PSI). Con l’avvento della prima guerra mondiale i socialisti si erano divisi su molti argomenti importanti, come la necessità d’intervenire o meno nel conflitto, e i forti dissidi avevano dato origini ad espulsioni e nuovi partiti.
Lo stesso Mussolini aveva iniziato la sua avventura politica come socialista, ma le sue posizioni a favore dell’entrata in guerra lo avevano allontanato sempre di più dal partito, fino alla sua espulsione nel 1914.
Matteotti invece era sempre rimasto contrario alla partecipazione alla guerra e quando nel dopoguerra cominciarono le lotte operaie e contadine, si trovarono ad essere acerrimi avversari. Matteotti era a favore di riforme per venire incontro alla classe operaia e contadina, mentre Mussolini finì per diventare il braccio armato della borghesia, che voleva riportare l’ordine in tutto il Paese.
IL DELITTO MATTEOTTI
Quando Mussolini fondò il Partito Nazionale Fascista e compì nel 1922 la Marcia su Roma, Matteotti divenne una delle voci di spicco dell’opposizione, denunciando ripetutamente brogli elettorali per alterare l’esito delle elezioni, le violenze perpetrate dai camerati fascisti per stroncare ogni forma di protesta al nuovo regime.
Si rivelò subito come il politico più coraggioso e più tenace nel denunciare, in Parlamento e fuori, la violenza del regime. Lo fece denunciando in un suo famoso articolo i “1206 casi di violenza, 1323 morti, […]. Questo è stato il primo anno di dominazione fascista”.
Appare chiaro che Matteotti è pienamente consapevole del pericolo che corre sfidando quotidianamente il fascismo: Il Popolo d’Italia, che era il giornale del regime, non avrebbe potuto essere più chiaro: “Quanto al Matteotti, volgare mistificatore, notissimo vigliacco e pregevolissimo ruffiano, sarà bene che si guardi. Che se dovesse capitargli di trovarsi, un giorno o l’altro, con la testa rotta (ma proprio rotta!) non sarà certo in diritto di dolersi dopo tanta ignobiltà scritta e sottoscritta. (Il Popolo d’Italia, 3 maggio 1923)”.
Così consapevole di ciò, Matteotti rivolgendosi ai suoi colleghi di partito e tenendo testa alle grida e agli insulti dei deputati fascisti, concluse con questa frase il suo celebre discorso alla Camera dei Deputati il 30 maggio 1924: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Fedele ai propri ideali democratici, ancora una volta decise di non sottrarsi ai propri obblighi politici e morali. «Voi volete rigettare il paese indietro, verso l’assolutismo – disse – Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano”.
C’è da dire anche che, oltre al movente politico, il delitto ne ebbe anche uno affaristico. In quei giorni agitati Matteotti si preparava a denunciare in Parlamento un giro di tangenti intascate da membri del regime fascista, tra cui il fratello del duce, Arnaldo Mussolini, legate alle concessioni petrolifere per la compagnia statunitense Sinclair Oil. Il movente affaristico spiega la frettolosa esecuzione del sequestro, avvenuto alla luce del giorno, e l’attenzione per i documenti che Matteotti aveva con sé. Il gruppo di squadristi fu costretto ad agire in tutta fretta perché Matteotti doveva essere messo a tacere prima dell’11 giugno, cioè prima che venisse riaperta la Camera. Quel giorno Matteotti figurava in cima all’elenco dei deputati iscritti a parlare e avrebbe sicuramente denunciato lo scandalo-petroli. Per fermarlo non restava dunque che entrare in azione il 10 giugno e poiché Matteotti oppose resistenza, i rapitori lo uccisero durante il tragitto. Il suo corpo sarebbe stato ritrovato solo due mesi dopo, il 16 agosto 1924.
PERCHÉ IL DELITTO MATTEOTTI È STATO COSÌ IMPORTANTE?
Quello che accadde a Giacomo Matteotti viene ricordato come un momento di svolta perché rivelò una volta per tutte il vero volto del fascismo. Era stato infatti Benito Mussolini ad ordinare la morte dello scomodo socialista e fu lo stesso Duce ad attribuirsi la responsabilità dell’omicidio, dimostrandosi determinato a stroncare ogni forma di dissenso.
“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! – proclamò Mussolini nel celebre discorso del 3 gennaio 1925. Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”.
Tali parole vennero accolte da un Parlamento che non aveva più risorse per opporre alcuna resistenza. Da quel momento il Duce e i suoi gerarchi – consapevoli della loro forza, iniziarono a costruire la dittatura che avrebbe trascinato l’Italia moderna nel periodo più buio della sua Storia.
Questa pagina vergognosa, fa il paio con quella di tanti intellettuali che dopo le leggi razziali non si dimisero per la cacciata dalle cattedre universitarie dei loro colleghi ebrei. Benedetto Croce votò la fiducia al governo Mussolini a due settimane dal rapimento di Matteotti; Luigi Pirandello scrisse una lettera incredibile al Duce che iniziava con queste parole: “Se Sua Eccellenza mi stima degno di entrare nel Partito Fascista”, sarò “un umile e obbediente gregario”; il compositore Giacomo Puccini non nascose la sua ammirazione per il Duce; di Gabriel D’Annunzio è conosciuto il suo essere fascista più che mai; e lo scrittore Curzio Malaparte, fu uno squadrista convinto.
Per questo ricordiamo Giacomo Matteotti. Per non dimenticare e soprattutto per essere vigilanti, perché certe epoche buie, anche se su diverse spoglie, possono sempre riemergere dall’inferno della storia.
R.M.
Box 1
LE ELEZIONI FARSA DEL 1924
Durante la campagna elettorale i fascisti impedirono i comizi e l’affissione dei manifesti, bruciarono i giornali e attaccarono le stamperie, arrivarono a uccidere un candidato socialista e a ferirne diversi altri.
Poi, il giorno del voto, i sostenitori del Partito nazionale fascista se la presero direttamente con gli elettori: si presentarono alle urne, si infilarono nei seggi e dentro le cabine elettorali di diverse circoscrizioni, per vigilare e impedire di dare la preferenza agli altri partiti.
Ricorsero anche al voto di scambio e, dalle prefetture, le schede degli astensionisti finirono nel calderone di quelle a favore del governo.
Vinse così il « listone » nazionale messo insieme da Mussolini, che ottenne oltre il 60% dei voti nelle elezioni del 6 aprile 1924 contestate da Matteotti, le ultime multipartitiche e a sovranità popolare prima della lunga dittatura fascista.
Quell’alleanza trasversale fra il partito fascista e, tra gli altri, gli ex popolari e parte della destra liberale e cattolica, venne creata e guidata dal futuro duce per battere i socialisti e avere la certezza di raggiungere il premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale. La cosiddetta Legge Acerbo, approvata dal governo pochi mesi prima, conferiva infatti alla lista vincente i due terzi dei seggi alla Camera e l’elezione in blocco di tutti i suoi candidati.
La campagna elettorale della primavera del 1924 non fu soltanto costellata da soprusi e intimidazioni, ma diede anche la sensazione che nulla potesse più ostacolare Mussolini. Il 31 marzo, in un teatro di Palermo, il filosofo Giovanni Gentile poté addirittura permettersi di sostenere che il fascismo si doveva accettare come una necessità storica.
Disse Gentile: « Ogni forza è morale, perché si rivolge sempre alla volontà: e qualunque sia l’argomento adoperato – dalla predica al manganello – la sua efficacia non può essere altra che quella che sollecita infine interiormente l’uomo e lo persuade a consentire« . In questo contesto è evidente che il socialista Matteotti, non volendo piegarsi né con la predica né col manganello, divenne un bersaglio necessario per Mussolini e i suoi sbirri.
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LE REAZIONI: DURE IN FRANCIA, TIEPIDE IN USA E URSS
La notizia dell’aggressione a Giacomo Matteotti e quella della sua morte fecero subito il giro del mondo.
In Francia sia il governo sia l’Assemblée nationale non esitarono a ritenere Mussolini e il suo entourage responsabili dell’omicidio spingendo il duce a diramare un telegramma a tutte le ambasciate per far sapere che la polizia aveva già arrestato quasi tutti gli indiziati. Ma ciò non bastò a evitare gli attacchi da parte della stampa che si susseguirono uno dopo l’altro, dalla Germania alla Spagna, dall’Austria alla Svezia e persino a Rio de Janeiro, a Tokyo e in altre capitali. Per l’Italia fu un tracollo diplomatico di dimensioni inaudite, contro il quale Mussolini non riuscì a trovare contromisure efficaci. E infatti si limitò a prendersela in modo generico con « quanti vogliono umiliare l’Italia« , minacciando severe ritorsioni dalle pagine del quotidiano Il Popolo d’Italia.
L’Unione Sovietica ha, sorprendentemente, una reazione piuttosto tiepida nei confronti del Duce. Secondo quanto rese noto dall’ambasciatore italiano a Mosca: « la stampa si è limitata a riprodurre brevi notizie telegrafiche da Roma senza alcun commento« , cosicché « da parte di governo e opinione pubblica russa finora non si è avuta nessuna manifestazione« . Più scontata la reazione degli USA per i quali la scomparsa di Matteotti non aveva scalfito i giudizi favorevoli nei confronti del duce: le responsabilità del delitto vennero in larga parte attribuite a fascisti fuori controllo, mentre a Mussolini vennero riconosciute la buona fede e la volontà di smascherare gli assassini. Il delitto non fece scordare, agli osservatori stranieri di orientamento moderato-conservatore, il merito del Duce: avere tenuto le sinistre lontane dal governo.