Il brigantaggio visto dal Nord: “una guerra contro la barbarie, per riportare legge e ordine”
“Non si affitta ai meridionali!”. E ancora: “Vietato l’ingresso a cani e meridionali!” Sono queste alcune delle frasi shock che apparvero a partire dagli anni 1960 sugli annunci immobiliari e sulle vetrine dei negozi del Nord Italia, segno di un’intolleranza che risaliva, affermano in molti, all’epoca in cui nel Sud del neonato Regno italiano esplose il problema del brigantaggio. L’incontro tra le “civili” genti del Settentrione e i ribelli meridionali generò infatti, a partire dal 1860, una serie di pregiudizi perdurati nel tempo. «Bisogna però stare attenti a non applicare al Risorgimento concetti anacronistici» avverte lo storico Alessandro Barbero. «All’epoca, le “due Italie” si conoscevano troppo poco per alimentare grandi discordie campanilistiche. Queste emersero soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’emigrazione dal Sud suscitò un razzismo becero contro i “terroni”». Resta il fatto che, già prima dei briganti post-unitari, i giudizi sul Sud erano spesso poco lusinghieri: a detta di Nino Bixio, violento protagonista della spedizione dei Mille, i meridionali bisognava “mandarli in Africa, a farsi civili”, mentre Massimo D’Azeglio, ex presidente del Consiglio del Regno di Sardegna affermò che “la fusione con i napoletani mi fa paura, è come mettersi a letto con un vaioloso”.