A 540 anni dalla nascita ricordiamo il maestro del Rinascimento con due opere-chiave che hanno reso omaggio alla città di Urbino in cui era nato e si era formato, nel segno dei grandi del tempo. Tutti confluiti al Palazzo Ducale di Federico da Montefeltro
RAPHAEL URBINAS. Così, con le lettere tutte maiuscole e con il piacere di ricordare la sua città, Raffaello ha voluto firmare due opere-chiave. In entrambi i casi la posizione in cui si trova la dicitura ne sottolinea l’importanza. Nello Sposalizio della Vergine, dipinto nel 1504 per una famiglia di Città di Castello, la scritta compare sull’arcata centrale del maestoso tempio che domina la scena. A soli 21 anni, ma già con un ricco percorso di formazione alle spalle, Raffaello capisce di essere arrivato a una svolta di autonoma consapevolezza: si confronta direttamente con Perugino, che stava dipingendo una scena analoga, e mostra in modo inequivocabile la capacità di superare gli schemi del maestro, con una concezione nuova e luminosa dello spazio, della narrazione, del respiro ambientale. Un capolavoro, l’esordio vero di un giovane genio, da questo momento pienamente indipendente. Con quella scritta rendeva orgogliosamente omaggio alla piccola e meravigliosa città, all’atmosfera incomparabile in cui si era formato. Per un singolare destino, il dipinto è esposto oggi nella stessa sala della Pinacoteca di Brera, a Milano, in cui si trova la Pala Montefeltro, l’insigne opera realizzata da Piero della Francesca per la chiesa di San Bernardino a Urbino.
Circa 15 anni dopo lo Sposalizio della Vergine, all’apogeo della fama ma anche ormai alla fine della sua breve vita, ripete la firma in un ritratto del tutto particolare: è quello della sua amante Margherita Luti, la bella ragazza di origine senese figlia di un fornaio e per questo conosciuta con il soprannome di « Fornarina ». Raffaello vive ormai da dieci anni a Roma, è il pittore prediletto dai papi e dai più grandi committenti, dirige una straordinaria bottega in grado di affrontare una mole eccezionale di lavori sempre più innovativi. Ma in questo ritratto privato, in cui la Fornarina compare quasi nuda, con un sorriso di imbarazzata complicità, l’artista ritorna alle sue origini: intorno al braccio dell’amata dipinge un nastro blu e oro con il proprio nome, seguito dal richiamo alla mai dimenticata Urbino. È un filo con la città che non si è mai spezzato, un piccolo ma poetico segnale, tanto più toccante perché inserito in un quadro personale.
Oltre a questi espliciti dettagli pittorici, la biografia di Raffaello è continuamente segnata dal legame con Urbino: la relazione epistolare con lo zio materno Simone Ciarla, il suo parente più stretto; l’appoggio ricevuto da Giovanna Feltria della Rovere, figlia del duca Federico da Montefeltro; il rapporto con il quasi concittadino Donato Bramante di Fermignano, il grande architetto, autore dei progetti della Basilica di San Pietro e dei Giardini del Vaticano, che secondo Vasari ha avuto un ruolo decisivo per far arrivare Raffaello a Roma e introdurlo nell’ambiente del Vaticano. E poi l’amicizia con il letterato Baldassarre Castiglione, che ambienterà proprio nelle sale del Palazzo Ducale di Urbino i magistrali dialoghi de II Cortegiano, libro meraviglioso e sottilmente malinconico, in cui sembra di sentire quasi in ogni pagina, il grandissimo rimpianto per la morte troppo precoce di Raffaello.
Baldassarre Castiglione, infatti, aveva capito benissimo che insieme a Raffaello, in quel fatale 1520 si spegneva un’intera epoca d’oro: il mondo era in fiamme, tra le conquiste oltre gli oceani e la Riforma di Lutero, tra le ambizioni del giovane imperatore Carlo V e l’inarrestabile avanzata dei Turchi. L’Italia appariva stretta e fragile tra le tenaglie di una storia diventata di colpo scontro fra continenti e imperi. E Raffaello, con la sua luce serena, con la fiducia in un’armonia universale, con il sorriso delle sue Madonne, era come un magnifico e struggente fiore appassito troppo in fretta, lasciando il rimpianto di un profumo che svaniva nell’acre odore degli incendi.
URBINAS. Quando lo scrive per l’ultima volta, sul nastro che accarezza il braccio della sua amata, Raffaello evoca un luogo e un mondo che dopo l’estinzione della dinastia dei Montefeltro si stanno allontanando nel tempo e nello spazio, e che di lì a poco usciranno dalla Storia. Ma Urbino è tutta dentro lo stile di Raffaello e continua a vivere nelle sue opere.
Come figlio del bravo pittore di corte Giovanni Santi, da bambino Raffaello ha libero accesso ai saloni del palazzo grazie al condottiero-mecenate Federico da Montefeltro: un capitano di ventura mezzo orbo, signore di uno staterello impervio in mezzo ad aspre colline, capace di promuovere un fondamentale trattato di pace fra i signori italiani e di diventare un committente internazionale di eccezionale apertura. Grazie a lui Urbino ha accolto artisti e intellettuali, un cenacolo di cultura che può confrontarsi, negli stessi anni, con la Firenze di Lorenzo il Magnifico. Qui nasce e muove i primi passi Raffaello: pesta le polveri per il colore nel mortaio, pasticcia con i colori, gioca con i pennelli, conosce gli aromi e la consistenza delle vernici traslucide, dell’olio di lino e di noce, delle tavole ben levigate, si diverte con i garzoni della bottega. Studia le opere di Piero della Francesca, Paolo Uccello, Pedro Berruguete, Giusto da Gand, Luca Signorelli, che Raffaello considera un maestro e con cui Impara le regole base della prospettiva. Respira il clima di un dibattito di altissimo livello e l’eleganza degli arredi, dei vestiti, delle acconciature, ma si affaccia anche alle finestre che incorniciano le vedute di un paesaggio commovente, colline su cui si snodano lunghe strade, macchie di boschi scuri, nuvole spinte dal vento, fiumi scintillanti nel fondovalle, borghi illuminati dal sole in cima alle alture. Geometria e natura, controllo intellettuale e abbandono pieno alla luce libera del mondo. Fin dalle prime incantevoli opere dell’adolescenza, Raffaello mostra la straordinaria capacità di trovare un’armonia, sempre variata di opera in opera. Reagisce subito alla sostanziale interscambiabilità delle figure di Perugino, alla loro elegante ma ripetitiva inespressività: ogni suo dipinto, invece, porta una nota nuova.
Urbino, il Montefeltro e il territorio fra le Marche e la Val Tiberina accolgono il primo tempo di Raffaello, dall’infanzia ai 21 anni. Negli snodi successivi della carriera, prima a Firenze (dove risiede dal 1504 al 1508 ed entra in dialogo con Leonardo e Michelangelo) e poi, definitivamente, nella Roma dei papi Giulio II e Leone X, continua sempre a guardarsi intorno: cerca e trova stimoli dall’arte di tutti i tempi, si confronta con i colleghi, alterna piccole e deliziose opere private con cicli monumentali, imprese di vasto respiro, come un compositore che passa da un concerto da camera a un’intera opera lirica. Al punto che molti studiosi hanno trovato delle analogie tra le biografie e lo stile di Raffaello e Mozart, i due geni eternamente giovani.
Certamente ci sono stagioni in cui preferiamo sapori più intensi e più moderni, nella musica come nella pittura. Ma prima o poi torneremo davanti alla Scuola di Atene e al Parnaso per sentire il respiro entusiasmante della cultura di ogni tempo, insieme a Platone e Aristotele, Omero e Dante, tutti vivi e presenti; vedremo gli occhi profondi della Madonna della seggiola (ma certo, è sempre lei, la Fornarina!) che fissano proprio noi, con una tenerezza infinita; e saliremo su quell’incredibile conchiglia a pale accanto a Galatea che trionfa, per un viaggio nel mare limpido del tempo, verso un orizzonte dove tutto è possibile.
Se saremo fortunati, ci capiterà un’emozione come quella provata da una ragazzina di IV elementare, portata in gita scolastica a Brera. Davanti allo Sposalizio della Vergine, alla domanda «Secondo voi che cosa rappresenta questo dipinto?» ha risposto, rapita: «Non rappresenta niente, io sto entrando nel quadro». Stava letteralmente passando sotto l’arco con la scritta « RAPHAEL URBINAS », incamminandosi verso la luce che si apre all’orizzonte, al di là delle figure, del sagrato, del tempio, delle colline.
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