Il commissario più amato e famoso d’Italia compie vent’anni. Salvo Montalbano è oggi un icona e attraverso i suoi occhi abbiamo visto l’Italia trasformarsi.
31 libri, 15 milioni di copie vendute, 9 stagioni per 26 film-tv trasmessi dalla Rai visti da 800 milioni di spettatori. Queste cifre danno solo un’idea del successo della creatura nata dallo scrittore Andrea Camilleri, quel commissario Salvo Montalbano residente nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigata, dove si svolgono le sue indagini.
Quando nel 1994 Andrea Camilleri pubblicò il primo libro con protagonista l’insolito commissario (La forma dell’acqua), nei piani dello scrittore non era neanche programmato un « seguito ». Montalbano doveva essere un personaggio più o meno casuale e anche con l’arrivo del secondo libro, Il cane di terracotta, Camilleri rimase fermo nella sua convinzione: non avrebbe scritto altro. Ma poi, come capita spesso con gli scrittori, il personaggio ha preso il sopravvento sull’autore ed ha iniziato a vivere di vita propria. Muovendosi tra i vicoli acciottolati di Vigata, tra un pranzo a base di pesce e una « passiata a riva di mare » (la passeggiatina post-pranzo, sacro rituale di Montalbano), Salvo ha cominciato ad uscire dalle pagine per entrare nell’immaginario collettivo, diventando una persona vera, umano, forse più umano anche dei suoi lettori.
L’editore di Andrea Camilleri, Antonio Sellerio, disperava di vedere un seguito a quei due libri, ma quando sua madre Elvira chiese a Camilleri « Quando mi porti il terzo libro? », la strada di Montalbano divenne ormai chiara, bisognava solo percorrerla. Arrivò Il ladro di merendine nel 1996 e poi nel 1999 lo scorbutico commissario di polizia fece il suo trionfale ingresso nei palinsesti Rai, prendendo il volto arcigno ed il piglio deciso di Luca Zingaretti. Questi, già eccellente attore di cinema e di teatro, fa entrare Salvo Montalbano in casa degli italiani, con il suo carico di umanità e di comprensione, come un Cristo che decide di battezzarsi nel mare di Sicilia ad ogni episodio della serie, per togliersi di dosso un po’ dello sporco che il suo lavoro inevitabilmente gli attacca addosso, rinascere e prepararsi per la prossima storia.
Eppure Luca Zingaretti, con la sua controparte letteraria fisicamente ha poco in comune: Montalbano è stato infatti riprodotto con una folta chioma e baffi (laddove Zingaretti è calvo e senza baffi) in una statua
celebrativa collocata a Porto Empedocle alla presenza dello stesso Camilleri. Luca Zingaretti riconosce che:
« Camilleri diceva che sì, ero un bravo attore, ma non ero il suo Montalbano. L’aveva scritto pensando a Pietro Germi, Il ferroviere, con i baffi, quella sua andatura, i capelli. E ancora ci tiene a dire che non si è mai ispirato a me, che l’autentico Montalbano è altro da Zingaretti.[30] » |
Insieme a Montalbano, anche i suoi amici e i suoi collaboratori diventano parti essenziali nelle vite delle famiglie italiane, che iniziano ad affezionarsi sempre di più a quell’uomo duro eppure capace di gesti di infinita compassione. Il vice commissario e amico fraterno Mimì Augello; l’ispettore Fazio, braccio destro di Montalbano; l’ingenuo ed esilarante agente Catarella, che col suo italiano stentato e la sua mimica funge da perfetta spalla comica. E infine la donna, l’eterna fidanzata, quella Livia che pur abitando dall’altro capo dell’Italia è sempre vicina a Montalbano per condividerne i silenzi, per aiutarlo a sopportare le ingiustizie che è costretto talvolta ad osservare senza poter intervenire.
Le indagini del commissario di Vigata non sono sempre coronate dalla vittoria: spesso i « buoni », gli onesti, devono mettersi da parte e soccombere alla prepotenza, pedine nell’eterna partita a scacchi tra bianchi e neri. Montalbano lo sa, deve scenderne a patti, ma ciò non significa che gli piaccia. Non gli piace dover accettare l’invito a colloquio con un boss della mafia siciliana, don Balduccio Sinagra, ma deve farlo perché, come dice lo stesso commissario, « non mi ritengo così importante da poter rifiutare se qualcuno vuole parlarmi« .
Forse il segreto di Montalbano è tutto lì: è un uomo con le sue debolezze, con un carattere scorbutico, ma che trova la sua forza nel saper fare quel che è giusto, per quanto sgradevole sia.
Attraverso i libri di Camilleri e le gesta di Luca Zingaretti, Montalbano ha attraversato gli ultimi vent’anni dell’Italia, il ventennio berlusconiano senza però mai fare politica (anche se qualche frecciatina qui e là tra le righe dei suoi romanzi si trova sempre…). « Montalbano ci ha raccontato la mutazione antropologica del berlusconismo, l’immigrazione, la crisi” spiega Sellerio “e l’ha fatto con una lingua unica”.
Si perché i libri di Camilleri sono scritti rigorosamente in dialetto siciliano, e anche in televisione tutti i personaggi utilizzano la stessa lingua, dura e aspra come i panorami siciliani ingialliti dal sole e spruzzati da una vegetazione arida e al tempo stesso bellissima.
Ma il tempo passa, e il commissario Montalbano inizia a sentire il peso degli anni. Lo dice chiaramente e più di una volta nelle sue ultime storie. Pensa ad andare in pensione, a lasciarsi alle spalle quello sporco lavoro da « sbirro » di periferia. Camilleri, a suo dire, ha già scritto l’ultima storia della saga del commissario, e pare lo tenga chiuso in cassaforte, lontano da occhi indiscreti. Qualcuno dice addirittura che è pronto a far morire la sua creatura. Ma non oggi e, speriamo, neanche domani.
Il prossimo libro uscirà in Italia il 29 maggio, La piramide di fango.